30 luglio 2006

Libridine #2

Dico la verità.
Avevo in mente di parlare di un altro scrittore, semiesordiente e italiano e incredibilmente anche grande amico mio e di Corrado.
Ma poi mi è capitato tra le mani questo libro, come un fulmine a ciel sereno e dal titolo allettante: “Jim Morrison: vita, morte e leggenda” dalla berlusconiana Mondadori.
Penso subito all’ennesimo sfruttamento carognesco di uno dei morti che più hanno reso al bizness letterario-musicale (si dice che “Nessuno uscirà vivo di qui” abbia venduto e vende ancora come mai nessun libro che tratti di musica abbia fatto).
Leggendo la retrocopertina scopro invece che Stephen Davis è un biografo rigoroso, già alle prese con Rolling Stones, Led Zeppelin (in Italia pubblicato da Arcana) ed Aerosmith.
Compro quindi il ponderoso volume e nei due susseguenti giorni mi immergo in quello che è la distruzione di tutti i miti del cantante americano, costruiti negli ultimi quarant’anni (tranne, naturalmente, quello artistico).
Piccola premessa: per me Morrison e i Doors hanno sempre rappresentato qualcosa di unico nella storia del rock, un’inconsueta e geniale mistura di rock e teatro, di musica blues onirica che non ha mai avuto epigoni.
Ma la lettura in gioventù di QUEL libro (prestatomi da Fabrizio e mai restituito, oggi sono pronto a farlo) mi ha fatto crescere e ha fatto crescere quel mito che oggi viene ridimensionato dalla lettura di una biografia che rende onore all’artista ma non nasconde le debolezze e l’umanità della persona.
Solo per dire cattiverie ricordo che uno dei traduttori è R. Bertoncelli (quello dell’Avvelenata Guccinesca), già autore di articoli critici nei confronti del Re Lucertola (cfr. introduzione italiana ai testi dei Doors ).
Va beh, direte voi, che si dice di quel libro? Inizio col dire come è stato reintitolato dalla cerchia degli amici di Jimmy il bestseller di Jerry Hopkins (un astuto giornalista che aveva fiutato l’affare) e di Danny Sugerman (un ingenuo ragazzino che leggeva le lettere di Jungle Jim): Nothing here but lots of lies, cioè qui non c’è nulla tranne un mucchio di bugie). E il libro che prende il titolo dall’inizio di una delle più significative canzoni di Jim (five to one, baby, one in five, no one here gets out alive) viene smontato e disattivato con un realismo a volte crudo. Si dice anche che il “ghost writer” del libro sia l’arrivista e ambizioso Ray Manzarek che oltre a fomentare l’inutile e stupida leggenda che il cantante sia ancora vivo, riuscì nell’impresa di chiamare Robby Krieger (Densmore si rifiutò sdegnosamente) nel vicino 2003 a riformare i Doors con Ian Astbury (ex Cult) alla voce e Stewart Copeland (ex Police) alla batteria.
Fortunatamente non ce ne siamo accorti. La lettura riesce ad informarci anche sulle personalità dei tre pards: il fondatore del gruppo Manzarek è in realtà un mellifluo arrivista incravattato e pronto a tutto per il successo, Krieger un seccatore dall’aria stordita di grandi doti musicali, Densmore che agli inizi era il nemico giurato di Jim poichè lo riteneva un coglione strafatto, dopo la sua morte si è rivelato l’erede del suo spirito sciamanico, se non altro non svendendosi e impedendo agli altri di farlo. (incredibilmente, dopo le cause legali di Densmore e della famiglia Morrison gli altri cambiarono il nome in Doors of the Twenty-First Century. Fecero ripetutamente sold-out. Non so con quale faccia, pensando alla scaletta che contemplava Roadhouse Blues e When the music’s over come inizio).
Il libro non è assolutamente tenero con la condotta fuori dalle righe del Re Lucertola fin dalla sua adolescenza turbolenta: in particolare si mettono in evidenza episodi in cui fa capolino una presunta bisessualità che nascerebbe da una molestia sessuale subita da Jim da bambino da un membro della sua famiglia. E’ certo che ebbe un’esperienza omosessuale in Florida, nel 1962 con una persona più grande di lui. E’ certo che aveva una spiccata preferenza per i rapporti anali con le donne.
L’unica cosa in cui tutti concordano è l’incredibile voglia di ottenere attenzione dagli altri (all’inizio dalla famiglia) con comportamenti da cazzone che comprendevano esibizioni camminando in bilico sui cornicioni, l’atteggiamento che non l’abbondonerà mai da ubriaco di fare il razzista che grida ai passanti, che piscia e vomita in pubblico, che schiaffeggia le donne e viene sbattuto fuori dai bar, che perde i sensi improvvisamente. Davis propone una sua lettura dei frequenti e improvvisi svenimenti di Morrison: una forma di epilessia non diagnosticata che lo faceva stramazzare al suolo fin dalla sua infanzia, ma che lui riusciva a nascondere con le sue sceneggiate da finto morto (sul palco avvenne più volte).
Non so se possa essere credibile. Il quadro clinico che fa Davis è quello di una persona incredibilmente impulsiva, disturbata, sociopatica, ma anche di una sensibilità intellettuale fuori dalla norma e in grado di tirare fuori dei capolavori in mezzo alla sbornia perenne.
Molte sarebbero gli episodi inediti da raccontare ma per non dilungarmi prendo un estratto a caso:
[ la prima volta che la ragazza di John Densmore Julia Brose vide Jim, in un aeroporto de Midwest, era privo di sensi abbandonato sotto una panca, contro il muro. Bill Siddons aveva messo due bidoni della spazzatura davanti alla panca perché non potesse scappare se tornava in se. disse Densmore con disprezzo . ]
Leggere questo libro, per non dire altro che possa disturbare la vostra curiosità, è stato un bel viaggio in un passato indimenticabile che necessitava di ulteriori, e si spera definitivi, dettagli.
Alla prossima.


3 commenti:

madam, i'm adam ha detto...

il commento me lo "posto" da solo:
sono saltati dei pezzi dello scritto originale che nononostante il copia e incolla restano inspiegabili: mi scuso per chi non capisse il senso di un paio di passaggi.
Forse a qualcuno di là fischiavano le orecchie e ci ha messo uno zampino incasinatore, come sua regola.
Senza offesa,Jimbo.

Anonimo ha detto...

Mah, credo che qualsiasi persona che abbia vissuto il mito di Jim Morrison a vent'anni e non ci sia rimasto sotto e abbia una pratica col mondo, abbia col tempo ridimensionato fisiologicamente la leggenda del re lucertola, ricollocandola nel più ampio contesto dello showbiz. Proprio per questo credo interessi poco sapere se Morrison soffrisse di epilessia, fosse bisex, se preferisse i rapporti anali con le donne o altre amenità del genere che riguardano l'individuo Morrison. Penso che interessi, come tutti i personaggi pubblici quello che ha lasciato, nel suo caso, cantando e scrivendo pezzi memorabili insieme ai doors fin quando ha retto su questo mondo, ed è una bella eredità.
Non so se Manzarek sia (era?) un arrivista più o meno spregiudicato. Sono sicuro invece che fare un libro sul mito di Morrison per smontare il mito di Morrison, questa sì che è una bella trovata da paraculo.

Nirva ha detto...

Morrison è tra gli esponenti della musica rock e non solo, il piu mitizzato di tutti i morti eccellenti del secolo scorso, a torto o a ragione, questo non lo sò, per me e stato capace di vendersi bene da vivo ed ancora meglio hanno fatto alla sua morte i suoi compagni di "viaggio" ed i suoi bigliettai. I Doors tutto sommato erano un buon gruppo paragonabili ai Velvet Underground (anche se come ebbe a dire il buon Alessandro Calovolo, mentre Jim Morrison giocava a fare lo sballato, Lou Reed scaldava il cucchiaino ).
Ma tutto questo è stato un bene, per il futuro del rock se pensiamo a quanti ragazzi si sono convinti a suonare qualcosa insieme solo ascoltando le magiche note di "When the Music is over"