Daniele Boccardi
L’appuntamento con una letteratura fuori dalle righe torna a fare la voce grossa contro i bestsellers allineati al sistema editoriale del compralagentefamosachescrive.
Si sa che in Italia vendono libri solo gli analfabeti di successo ( Tralasciando Totti, la progenitura dei vari Zelig e programmi simili, i parenti di politici e starlette più o meno televisive, ex comici oggi intellettuali , ex intellettuali che oggi fanno ridere).
Ci si trova quindi interdetti di fronte ad autori che sono dei perfetti sconosciuti ma che posseggono una scrittura che ti colpisce con l’imprevedibilità di un vaso di fiori che vola inavvertitamente dal terrazzo sulla tua testa.
Niente prosa urlata per carità, né temi particolarmente alla moda, ma storie normali di gente normalissima, a volte forse pure noiosa, cioè senza niente da dire.
La provincia italiana è il teatro in cui si muovono attori ordinari in cui si riconosce una realtà immutabile e claustrofobica, che sembra parlare da sola sotto questo velo di nebbia.
Minimalismo? Epigone di Carver?
Daniele Boccardi è stato pubblicato dopo la sua morte avvenuta per suicidio nel 1993 dall’ editore a me più caro: Marcello Baraghini per Stampa Alternativa.
I testi gli erano stati inviati dal padre e lui, folgorato, ne fece immediatamente un libro.
Si chiama “Vite minime” ed è una raccolta di racconti lunghi e brevi, poesie e aforismi che danno un’idea della produzione dello scrittore toscano.
Chi è avvezzo a Carver può immergersi felice nel pathos dell’ “immobile aspettando che succeda
L’ irreparabile”, dove nulla succede ma tutto può accadere.
Sotto ci sono le storie minime vicine ad ognuno di noi: l’operatore di call center che viene truffato dalla società, la signora di facili costumi che svezza i giovani del quartiere, approcci tra una quarantenne e uno studentello, tra una professoressa e un altro studente.
Tutto finisce in un nulla di fatto. L’inerzia scrive la parola fine.
Questa è una lettura che, non so perché ma credo di essere nel giusto, consiglio a chi era adolescente negli anni ottanta e dintorni, e abbia convissuto con un certo senso di inadeguatezza rispetto a ciò che gli girava intorno.
Traslando il discorso al campo musicale verrebbe voglia di paragonare l’ambiente che scaturisce dalle parole di Boccardi a quelle degli Smiths: sembra esserci sotteso lo stesso climax di voglia di trasgressione e sentimenti di castrazione.
Daniele Boccardi è nato nel 1961 ed è morto nel 1993.
Non è certamente morto per la mancata accettazione di un libro.
Si sa che in Italia vendono libri solo gli analfabeti di successo ( Tralasciando Totti, la progenitura dei vari Zelig e programmi simili, i parenti di politici e starlette più o meno televisive, ex comici oggi intellettuali , ex intellettuali che oggi fanno ridere).
Ci si trova quindi interdetti di fronte ad autori che sono dei perfetti sconosciuti ma che posseggono una scrittura che ti colpisce con l’imprevedibilità di un vaso di fiori che vola inavvertitamente dal terrazzo sulla tua testa.
Niente prosa urlata per carità, né temi particolarmente alla moda, ma storie normali di gente normalissima, a volte forse pure noiosa, cioè senza niente da dire.
La provincia italiana è il teatro in cui si muovono attori ordinari in cui si riconosce una realtà immutabile e claustrofobica, che sembra parlare da sola sotto questo velo di nebbia.
Minimalismo? Epigone di Carver?
Daniele Boccardi è stato pubblicato dopo la sua morte avvenuta per suicidio nel 1993 dall’ editore a me più caro: Marcello Baraghini per Stampa Alternativa.
I testi gli erano stati inviati dal padre e lui, folgorato, ne fece immediatamente un libro.
Si chiama “Vite minime” ed è una raccolta di racconti lunghi e brevi, poesie e aforismi che danno un’idea della produzione dello scrittore toscano.
Chi è avvezzo a Carver può immergersi felice nel pathos dell’ “immobile aspettando che succeda
L’ irreparabile”, dove nulla succede ma tutto può accadere.
Sotto ci sono le storie minime vicine ad ognuno di noi: l’operatore di call center che viene truffato dalla società, la signora di facili costumi che svezza i giovani del quartiere, approcci tra una quarantenne e uno studentello, tra una professoressa e un altro studente.
Tutto finisce in un nulla di fatto. L’inerzia scrive la parola fine.
Questa è una lettura che, non so perché ma credo di essere nel giusto, consiglio a chi era adolescente negli anni ottanta e dintorni, e abbia convissuto con un certo senso di inadeguatezza rispetto a ciò che gli girava intorno.
Traslando il discorso al campo musicale verrebbe voglia di paragonare l’ambiente che scaturisce dalle parole di Boccardi a quelle degli Smiths: sembra esserci sotteso lo stesso climax di voglia di trasgressione e sentimenti di castrazione.
Daniele Boccardi è nato nel 1961 ed è morto nel 1993.
Non è certamente morto per la mancata accettazione di un libro.
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