16 settembre 2006
Coerenza e movimento
E' dall'otto settembre che l'interrogativo, incubato da diverso tempo, è venuto a galla: ma la coerenza è un valore in sé? L'otto settembre del '43 è per gli italiani una data storica, è il cambiamento di fronte, è l'abbandono della strada vecchia e pericolosa (il nazismo) per la nuova (gli alleati). Ecco, se l'Italia fosse rimasta coerente alla scelta del '40 quale sarebbe stato il suo destino? Traslando all'individuo, ai suoi atteggiamenti, ai modi di pensare. Ma è sempre un valore rimanere fedeli a noi stessi, ai nostri modi di pensare, ai nostri atteggiamenti? O non è più produttivo cambiare, dribblare, tentare percorsi nuovi. Non vuol essere, questo, un inno all'infedeltà o al trasformismo, o peggio, al tradimento. Comincio però a trovare sconcertante la sufficienza con cui si antipatizza a prescindere con chi cambia idea, giudicando non nel merito le nuove tesi ma (pre)giudicando negativamente il cambio. Trovo che oltre al poco rispetto per il prossimo, ci sia in tutto questo un'autodifesa pigra del proprio status quo che è quanto di più conservatore possa esserci. E dire che in tanti di quelli che stigmatizzano i cambi di idea si sentono di sinistra e pensano di guardare avanti. Sono progressisti, dicono.
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