14 settembre 2006

Bolgia e incuria

Con la ripresa pressoché totale delle attività dopo la pausa estiva e con il conseguente rinnovato incasinamento sono tornato a chiedermi: ma che cosa sono diventate le città? E che cosa è diventato viverci dentro per una persona normale, con una famiglia normale e una vita normale? Voglio dire che se non appartieni alla cerchia di eletti che ha l'attico in centro, la scuola dei bimbi a portata di gambe e, magari, lo studio in casa, sei costretto normalmente a ritmi vicini alla disumanità. Il peggio è che tutto ciò è considerato pressoché ineluttabile. Tranne qualche estremista ambientalista, nessuno riconosce che le città così come sono diventate assomigliano più a una bolgia che a dei contenitori per umani. Tanto che quando si parla di politiche per la città il pensiero va a marciapiedi, asfaltamenti di strade, lottizzazioni di aree edificabili. Mai a un qualche tipo di innovazione degna di nome, che so: chiusura totale dei centri storici e investimento in navette elettriche silenziose i cui percorsi possano essere modulati sulla base dell'utenza; progettazione di piastre logistiche mediante le quali organizzare l'entrata e l'uscita delle merci; valorizzazione di cervelli che ripensino gli agglomerati sulla base degli interessi e dei flussi di movimento di chi ci vive e non solo di quelli economici; pensare a servizi di prossimità per anziani e non anche da erogare mediante la nascita di nuove realtà imprenditoriali. Voglio dire, niente salti in avanti, niente dirigismo o pulsioni veteroambientaliste. Non si disconosce la complessità delle città, non si rimpiangono i bei tempi andati in cui si andava coi carretti. L'invito è solo a usare il cervello e quanto scienza e tecnologia ci offrono già oggi per vivere un po' meglio. L'incuria che ci contraddistingue è diventata insopportabile.

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