La partenza dei soldati italiani per il Libano con la missione di coadiuvare il ripristino di condizioni di pace tra Israele ed Hezbollah non ha mancato di riservare qualche spunto interessante. Come non provare un senso di tenerezza per il ministro della Difesa Arturo Parisi nell'ascoltare la conclusione del suo discorso di commiato alla schiera di militi in divisa? Per stemperare la retorica patriottarda del risorgimental-nazionalistico "Viva l'Italia", il ministro si è sentito in dovere di aggiungere una sequela di viva che quasi il discorso non finiva più: "l'Europa, la pace e l'Onu", mi è sembrato di ascoltare. Dura essere ministro della Difesa di un governo di centrosinistra che invia soldati all'estero, seppure con il compito di riportare la pace e possibilmente senza usare le armi.
E come non provare una sana compassione nel vedere gli esponenti del centrodestra - che quando gli parli di uomini in divisa inciampano in una sorta di riflesso pavloviano che li porta all'irrigidimento delle membra - contorcersi fra il sì a una missione alla quale non potevano dire di no e i mille distinguo sui pericoli, le regole d'ingaggio e le chiarezze dei compiti e delle responsabilità. Loro, che hanno inviato soldati in teatri di guerra che al confronto la pericolosità del Libano è più o meno quella una gita sociale?
29 agosto 2006
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