08 giugno 2006

Comunità

Ieri mi è capitato di ascoltare su Radio 3 un'interessante puntata di Radio3 mondo in cui si è parlato di cohousing, che è un modo diverso da quelli in voga di progettare e vivere gli spazi, di relazionarsi e di organizzarsi la vita a partire dalla propria agenda. Al di là della suggestività dell'idea, l'ascolto mi ha indotto a riflettere su come la comunità, fatte salve cene con amici e conoscenti e poco altro, sia ormai un qualcosa di praticamente espunto dalla maggior parte delle vite quotidiane. Per questo mi sento di fare i complimenti a chi sperimenta forme di eterotopia, come le definisce Aldo Bonomi, e tiene viva la possibilità di alternative sane e praticabili.

3 commenti:

madam, i'm adam ha detto...

prima di rispondere sono andato a vedere di cosa si trattava: devo dire che il cohousing mi ha stupito
perchè è la messa in pratica di una serie di idee che avevo in testa in tempi non sospetti.
Ho sempre pensato, infatti, che sarebbe ideale mettere insieme un certo numero di persone che condividono stili di vita e di pensiero e dare vita a delle piccole comunità.
Se non l'ho mai detto è perchè francamente mi sembrava una cosa utopistica. Ed invece c'è chi lo ha messo in pratica e sicuramente vive una vita migliore di chi si rinchiude nel proprio appartamento circondato da allarmi e grate antintrusione.
Pensate come può cambiare la vita condividere spazi, scambiare esperienze, costruire idee comuni..
insomma io mi sento un buon cohouser e voi???

Nirva ha detto...

mmmmm de 'sti tempi non lo sò, prima quando i mezzi erano pochi e la fame tanta il "cohousing" era quasi una regola, ma oggi (basta cedere noi, ognuno ha i suoi tempi e piu che una comunità , diventerebbe un campeggio) comunque molto lodevole l'iniziativa

Anonimo ha detto...

Mah, mi sembrate un po' estremi entrambi. Io francamente mi tengo strette la mia privacy e le mie quattro mura. La comunità tout court non mi ha mai attirato. Quello che mi piace del cohousing è, per quanto riguarda l'aspetto prosaico, la condivisione di spazi tipo sale feste, magari anche sale prova, camere per gli ospiti ecc..., che per un nucleo familiare soltanto sarebbero troppi, mentre condivisi diventano l'ideale. L'altra cosa, più di sostanza, è la possibilità di sperimentare cose che hanno un senso solo se fatte collettivamente: asili nido di un certo tipo, trasporti intelligenti e a basso impatto ambientale, gruppi di acquisto di cibo biologico e altre merci - in modo, nel tuo piccolo, di orientare il mercato - ricorso al concetto di bioarchitettura. Cose semplici e banali, direbbero gli Afterhours, che innalzano però il livello di qualità della vita. Insomma, niente figli dei fiori o "campeggi", ma neanche resa incondizionata di fronte all'ineluttabilità delle cose. Testa sulle spalle, poche fumosità, niente nostalgie fuorvianti e buone alternative praticabili qui e ora. Ecco, ciò che mi piace del cohousing.